Se è vero che il reddito percepito durante la vita
lavorativa influenza il conteggio pensionistico,
altrettanto vero è il fatto che l’assegno di
disoccupazione, in presenza di redditi elevati, può
determinarne una limitazione della crescita della
pensione. Vediamo in che modo.
Per comodità espositiva, immaginiamo di essere
in presenza di un lavoratore che percepisce una
retribuzione mensile lorda di 1.869,56 €
(esattamente il tetto massimo contributivo naspi
per il 2020). Per lui, persona con un periodo
contributivo prima del 1995 e uno successivo,
non cambia nulla ai fini della pensione. La parte
lavorata prima del 1996 produrrà una pensione
calcolata sul reddito medio, non influenzato
questo, dalla presenza di due anni di “reddito”
naspi (eventualmente interverrà il correttivo
previsto nella normativa sulla naspi). Il periodo
lavorato successivamente al 1995, produrrà una
pensione in base ai contributi accreditati e questi,
nel nostro esempio, coincidono con quanto sarebbe
stato versato lavorando normalmente. In presenza
di un lavoratore con retribuzione superiore a
1.869,5 €, il discorso è diverso. Il periodo di calcolo
della pensione ante 1996 reggerà perfettamente
il periodo naspi, producendo la medesima quota
di pensione mentre, quello post 1995, no.
Lo stipendio superiore a 1.869,56 avrebbe
generato dei versamenti contributivi più alti,
rispetto a quelli naspi, quindi la pensione finale
sarebbe stata più alta.
Dove ci porta questo ragionamento sulla naspi
e gli effetti nella pensione? Ci porta a considerare
il fatto che, un assegno per un periodo di
disoccupazione è utile, se non indispensabile,
è il caso però, in un momento successivo di
calcolare anche gli effetti sulla pensione futura
per capire se quello che è andato eventualmente
perso può essere ripristinato oppure no.